Il 1994 è un anno (agro)dolce per la musica; la mattina dell’8 aprile Kurt Cobain viene trovato morto nella sua casa sul lago Washington. Nello stesso anno viene pubblicato proprio il meraviglioso MTV Unplugged in New York dei Nirvana. E non solo. Sì, perché il 1994 è l’anno in cui gli emarginati (gli underdog) conquistano le vette delle classifiche e l’alt-rock diventa a tutti gli effetti mainstream; album come Definitely Maybe degli Oasis, Dookie dei Green Day o Grace di Jeff Buckley – solo per citarne alcuni – sono pietre angolari della storia del rock. Ma il 1994 è anche l’anno di Monster dei R.E.M. Quando quell’album fu pubblicato, il 27 settembre, i membri della band erano ad un bivio della loro carriera; Michael Stipe, Peter Buck, Mike Mills e Bill Berry stavano cercando di gestire la pressione generata dal clamoroso successo di pubblico e critica tributato a Out of Time (uscito tre anni prima) e Automatic For The People (1992).
In pochissimo tempo il quartetto di Athens era diventato, grazie a brani quali Losing My Religion, Man On The Moon, Everybody Hurts, tra i più grandi al mondo. Tuttavia, erano passati ben sei anni dal loro ultimo tour – Green, del 1988 – e, al tempo in cui cominciavano a lavorare a Monster, i quattro accarezzavano l’idea di porre fine a questa autoimposta pausa sabbatica e di rimettersi in marcia. La band entrò in studio con l’idea di ridefinire il proprio sound; se gli ultimi due album erano composti, essenzialmente, da ballad, rock acustico e arrangiamenti compositi, il gruppo, adesso, si sentiva pronto per qualcosa di più grintoso e naturale. L’album finito si presentò come un cambio radicale di genere, con elementi glam rock e grunge, adatto anche ad essere portato live. Come ebbe a dire il giornalista Matthew Perpetua, nelle sue note di copertina, Monster non aveva precedenti nella storia della band, aggiungendo che i R.E.M. «non avevano mai fatto uso di sonorità distorte e sporche, né erano mai stati tanto provocanti o seducenti».
Buck ricorda: «Cercavamo di sentirci come una band diversa, volevamo allontanarci da quello che eravamo stati fino a quel momento». La band era anche abbastanza sbalordita dalla natura dell’enorme successo, e molte canzoni ne recano traccia. Sempre Perpetua annota come «non c’è dubbio che i temi che compaiono in Monster hanno a che fare con varie forme di ossessione, che si tratti del narratore infatuato di Crush With Eyeliner, del protagonista disperato di Strange Currencies, o del gracchiante supercattivo di I Took Your Name». Tuttavia, i R.E.M. non rinunciarono ad inoculare nelle canzoni quel pizzico di senso dell’assurdo, di ironia, un’umoristica strizzatina d’occhio. Tra le punte di diamante del disco c’è, fuor di ogni dubbio, il distorto primo singolo What’s The Frequency, Kenneth? che prende di mira la farsa infarcita di marketing e media che pervadeva la cultura pop della generation X, mentre l’accattivante Star 69 è una detective story basata sull’omonimo servizio di richiamata telefonica (all’epoca in uso negli Stati Uniti e in Canada).
Il secondo singolo Bang And The Blame vede all’opera Thurston Moore (dei Sonic Youth) e l’attrice Rain Phoenix, sorella dell’attore River scomparso poco prima e dedicatario dello stesso album. Let Me In è invece destinata al leader dei Nirvana; Mills, che per l’occasione aveva lasciato il basso per imbracciare proprio la chitarra di Cobain, raccontò che quella canzone fu la «reazione catartica di Stipe in risposta alla perdita di un grande amico, e di una persona con cui si sentiva in sintonia sul piano della creatività». Il nuovo corso intrapreso dal gruppo si dimostrò un successo. Monster debutto al primo posto nella Billboard 200 e collezionò quattro dischi di platino negli States.
Nonostante il successo ottenuto dall’album all’epoca, con dieci milioni di copie vendute, Monster non ha mantenuto il suo impatto negli anni a differenza dei lavori precedenti del gruppo, sia per la critica – che all’epoca, come abbiamo visto, pur lodando il coraggio del gruppo di evolversi continuamente, non ha mai definito Monster come un capolavoro al contrario dei suoi predecessori – sia perché il gruppo non avrebbe perseguito quella strada di rinnovamento nei lavori successivi, rendendo Monster un disco unico all’interno della discografia dei R.E.M. In seguito alla pubblicazione dell’album, la band tornò a calcare i palchi di tutto il mondo con un tour notoriamente costellato da varie vicissitudini dei membri del gruppo (il gruppo soffrì a causa di problemi salute che colpirono Stipe, Mills e Berry), venne registrata anche buona parte dell’album successivo, New Adventures in Hi-Fi, un incrocio tra le sonorità acustiche di lavori come Out of Time e Automatic For The People e quelle più rock e di Monster, appunto, ma anche di Lifes Rich Paegeant e Document.
In occasione del venticinquesimo anniversario dell’uscita del disco, la band, assieme allo storico produttore Scott Litt, ha avuto modo di riflettere e rivisitare creativamente l’album. Litt, ricordando quante difficoltà avesse avuto con il mix originale, ha affermato: «Ho chiesto più volte alla band, nel corso degli anni, se vi fosse una possibilità di rivedere il missaggio dell’album: era una cosa che volevo davvero fare». Ora, a 26 anni di distanza, quell’opportunità è arrivata, e i risultati sono sbalorditivi. In alcuni pezzi, stando alla testimonianza di Perpetua, Litt è riuscito a far riemergere «parti vocali inedite e interventi strumentali che erano rimasti sepolti o scartati nel mix originale». Mills aggiunge: «Penso che l’avere ascoltato attentamente l’album per anni e anni lo abbia portato a sentire un nuovo modo di concepire quelle canzoni».