Mi diverto spesso a domandare alle persone quale sia il loro Spider-Man preferito, se Tobey Maguire, Andrew Garfield o Tom Holland, e dalla risposta riesco a capire un po’ meglio chi ho di fronte: i più nostalgici di carattere rispondono a colpo sicuro che Tobey non si batte; è il primo, l’apripista e per loro insuperabile. I meno esperti di fumetti e del personaggio di Stan Lee invece osannano Garfield, che tra i tre è forse il più spavaldo (ed esteticamente gradevole, aggiungerei); gli intenditori infine, e da questa scelta di parole è già fin troppo chiara la mia posizione in merito, preferiscono il giovane Tom Holland, tra i tre è forse il più simile per carattere e caratterizzazione al fumetto originale. In caso vi steste chiedendo cosa abbia a che vedere Spider-Man con Enola Holmes, un po’ di pazienza perché tra poco sarà tutto più chiaro.
Vedete, il cinema è un po’ come la moda: spesso finisce per tornare sui suoi passi e puntare tutto sui soliti cavalli vincenti, ancora, ancora e di nuovo ancora. È il motivo per cui abbiamo avuto decine e decine di riadattamenti cinematografici di Biancaneve, Cenerentola, Spider-Man e, ovviamente, Sherlock Holmes (ve l’avevo detto che avevo uno scopo). Se quindi adesso vi rigirassi la stessa domanda, ma al posto di Spider-Man vi chiedessi qual è il vostro Sherlock Holmes preferito? Di sicuro la risposta non sarebbe Henry Cavill, che dell’emaciato, drogato e brillante investigatore di Baker Street ha poco e nulla. E se è vero che il nuovo film targato Netflix non vede come protagonista il più famoso investigatore della storia ma sua sorella, è anche vero che già da questa scelta poco azzeccata si può ben capire la qualità dell’opera.
Enola Holmes segue il viaggio di scoperta personale dell’omonima protagonista (interpretata da Millie Bobby Brown), in una Londra di fine Ottocento che si appresta a cambiamenti epocali. La riforma di voto, le suffragette e il desiderio di trovare la propria strada, fanno da sfondo ad un giallo pastello e dalle tinte adolescenziali, dove spicca la figura di una nuova Nancy Drew, Enola, che appare persino più perspicace del ben più famoso fratello. Gli elementi sembrano promettenti, a partire dal cast all star (Helena Bonham Carter, Henry Cavill, Sam Claflin) ma il risultato fa storcere il naso, forse proprio per la scelta degli interpreti e per la lontananza dei personaggi dagli originali. Si parte da uno Sherlock belloccio, premuroso verso una sorella con cui nemmeno aveva mai avuto rapporti e che addirittura si rallegra che lo abbia battuto sul campo, per passare poi ad un Mycroft imbellettato e con la perspicacia investigativa dell’ispettore Clouseau. Niente a che vedere con gli originali: apatico uno e geniale seppur pigro l’altro.
La scelta è piuttosto chiara, seppur reprensibile: i fratelli Holmes sono stati piegati e plasmati caratterialmente per risultare funzionali alla storia di Enola; vien da chiedersi però se ci fosse davvero bisogno di snaturare e sminuire così tanto dei personaggi tra i più definiti e chiari nell’immaginario collettivo, solo per dare risalto alla ben meno nota sorella. E la risposta per me è no. Certo, è vero anche che il film si rivolge palesemente ad un pubblico adolescenziale, forse meno affezionato ai personaggi di Arthur Conan Doyle (tra i quali peraltro Enola non compare), meno esperto e che forse non storcerà nemmeno il naso. Un pubblico ineducato però non vuol dire che non possa esserlo e che non apprezzerebbe in egual modo una caratterizzazione più vicina agli originali.
È proprio questo il vero problema di Enola Holmes, un problema vecchio quanto le logiche di mercato: il fan service. Seppur la trama sia scorrevole e il cast più che capace di regalare una buona performance, al film continuerà a mancare qualcosa e no, non mi riferisco alla madre, che la protagonista cercherà per l’intera opera: il mistero attorno al quale ruota tutta la vicenda è troppo semplice da risolvere, il femminismo e le suffragette dipinti a suon di frasi fatte e la rottura della quarta parete troppo caricaturizzata. Non mi sto dimenticando che il film è rivolto ad un pubblico che va dagli 8 ai 18 anni. Capisco bene che infittire il mistero e approfondire il quadro storico rischierebbe di rendere l’opera poco comprensibile per gli spettatori più piccoli, ma mi domando allora perché inserire determinati temi ed elementi se devono essere fini a sé stessi e quasi stereotipati.
Per quanto riguarda invece la quarta parete, beh, ogni stanza ha bisogno di quattro mura che ne delimitino il perimetro, quindi perché buttarne giù una? Questa domanda, apparentemente fine a sé stessa, è ciò che mi sono ripetutamente domandata durante l’intero film: Enola Holmes butta giù una quarta parete che stava in realtà bene dove stava. Sicuramente sarà di aiuto ai bambini per restare al passo con la piccola detective sullo schermo e capirne tutti i ragionamenti, ma se (di nuovo) avessero caricaturizzato di meno la cosa, sarebbe stato più godibile anche per noi spettatori più cresciuti, passatemi il termine. Insomma, il film si colloca in un limbo poco lusinghiero, dove davvero non vorrei essere costretta a metterlo. Purtroppo, gli elementi e le premesse non erano affatto male. Sarà per la prossima volta. Tanto lo sappiamo, la famiglia Holmes torna sugli schermi con la stessa frequenza delle Kardashian-Jenner; almeno nel loro caso, però, ci va bene così.