La provincia è ferma agli anni ottanta – come dice Brunori Sas in Lamezia-Milano – e Sanremo pure. E fa impressione. È talmente evidente che l’imbarazzo dovrebbe pervadere tutti. Invece no, gli ascolti sono stellari e premiano l’amarcord, il buonismo, lo sgangherato politically correct, il come eravamo prima di tangentopoli nel pieno dello splendore della Milano da bere e dei paninari. Tutto questo a partire dai conduttori, Amadeus, Fiorello e Nicola Savino, i quali arrivano dritti da quella Radio Deejay di cecchettiana memoria che in quel decennio ha cambiato i paradigmi della radiofonia trasformando in veri divi tutti i suoi speakers. Per non farci mancare nulla hanno ben pensato di ingaggiare come co-conduttrice della seconda serata Sabrina Salerno (mancava solo Sandy Marton). Poi ci sono stati i Carrisi; per loro, presenti come ospiti per l’ennesima volta sul palco dell’Ariston, cancellati tutti i brutti ricordi, le cause, le liti a mezzo stampa e le seconde famiglie. Stessa cosa dicasi per i Ricchi e Poveri, una reunion in playback di cui non se ne sentiva il bisogno con neanche un cenno a quanto accaduto tra la mora e la bionda nel 1981; tutto cancellato con un salto temporale di quarant’anni. Poi i duetto da brividi di Ranieri e Tiziano Ferro su Perdere l’amore e i sette dei ventiquattro brani della serata cover arrivati dal decennio ottanta.
Per non parlare dei brani dei Duran Duran eseguiti a notte fonda durante L’altro Festival. Persino l’idea di un secondo palco esterno all’Ariston, in piazza Colombo è vecchia di più di quarant’anni e rimanda all’utilizzo del Palafiori per far esibire tutti gli ospiti stranieri che allora arrivavano copiosi (quando essere internazionali era un pregio ed il sovranismo era ancora tutto da inventare). In un Festival come questo cos’altro possiamo aspettarci? Con un pubblico in sala fattosi statua di sale al cospetto di Dua Lipa o Ghali ed un mix di giurie, la demoscopica in primis, non esattamente pronte a portare sul podio brani ed artisti outsider come Achille Lauro e Junior Cally (facilmente finiranno nelle retrovie della classifica), possiamo solo confidare in una media ponderata dei voti per arrivare sani e salvi in fondo a questo Festival figlio della “nostalgia canaglia”. In fondo Sanremo è lo specchio della situazione del nostro Paese, che è indiscutibilmente una grande, sterminata, provincia, dove le liti di condominio (Fiorello–Ferro, Morgan–Bugo) animano i cortili.