Quando ci si trova a parlare di una delle penne più illuminate del cantautorato nazionale il rischio è sempre quello di banalizzare, di ultra-aggettivare, di parlare di Cremonini descrivendo una Aston DB10. Ma partiamo dall’inizio: immaginatevelo, Cesare Cremonini su una chaise longue e un buon libro su un tavolo in ciliegio, magari Kierkegaard o Schopenhauer. È da lì che mi piace immaginare che questo stream of consciousness inizi. Se un giorno ti svegli felice è una sorta di visione, una riflessione sull’Uomo e sulle molteplici forme che possa assumere (“Che differenza c’è tra l’amore eterno e un bacio dato a primavera?/Se hai già perso mille volte ma nei sondaggi ti chiamano vincente”). Ancora più annebbiata, sfocata e sognante è Al telefono, una sorta di viaggio lisergico nei propri pensieri che nel videoclip si declina dell’accezione di occasione persa, di sliding door ma che, in senso più ampio, è una riflessione sul tempo. Giovane stupida è un pezzo intimo (“Segreterie telefoniche/Il tuo strabismo di Venere/È strano questo disordine”, canta nel ritornello), quasi una demo, un messaggio vocale o – se preferite – una lettera d’amore alla propria dolce metà. Il titolo, in tempi come questi in cui risulta doveroso combattere la discriminazione in ogni sua forma, è in realtà fuorviante: “giovane stupida” par essere un nomignolo. È detto col sorriso in bocca.
Dicevamo che di un artista come Cesare Cremonini non si possa non parlare con termini d’elogio, soprattutto perché è evidente che, in un panorama fatto di begli slogan e giri di Do fantasiosamente diteggiati, Cè (così da sempre si fa chiamare) sia sempre un fuoriclasse d’altri tempi. Ma d’altri tempi un corno verrebbe da dire ascoltando il sound eterogeneo e mistico che veste il quarto brano dell’album, dal titolo Ciao: una raccolta di suoni colmi di overdrive e bitcrusher che porta a galla tutta la vena sperimentale di Cremonini. Pare quasi un brano di Billie Eilish, in cui la voce diventa uno strumento e, come tale, è soggetto a effettistica. Ma il viaggio nella mente di Cesare raggiunge il suo apice nel brano Amici amici, un pezzo senza peli sulla lingua che si interroga sull’amicizia, ora vera, ora di convenienza. Un brano che prova a rispondere alla domanda che deve esser frullata in testa a tutti i personaggi noti almeno una volta: “Amano me o il mio successo?”, Cesare a questo giro vede il bicchiere mezzo vuoto e ci racconta per istantanee il suo rapporto con la gente. La seduta psicologica si conclude senza parole, niente più frasi, concetti, aggettivi o pronomi. Solo musica. Salgono dal bordo inferiore dello schermo i titoli di coda dell’ennesimo capolavoro firmato Cremonini. Un cortometraggio, sì ma d’autore.