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I Subsonica sono ancora anime libere

«Fossimo nati oggi avremmo fatto musica con la stessa attitudine ma anche con la stessa libertà», dice Boosta, seduto al centro di una delle tante sale riunioni della sede milanese della Sony. Perché sì, nonostante le major, i mega tour e l’approdo in televisione, i Subsonica sono ancora degli spiriti liberi. Ma già nel 1999, i cinque di Torino raccontavano del loro stato di totale libertà; la canzone si intitolava Liberi tutti e recitava frasi del tipo: “Da tutti quelli che/Inquinano il mio campo/Io mi libererò perché ora sono stanco”. Quel brano è stato recentemente reinciso con Lo Stato Sociale e inserito in un reboot di Microchip emozionale che – a distanza di vent’anni – è diventato Microchip temporale, un album realizzato con la complicità di quattordici artisti che hanno oggi, per la maggior parte, l’età dei Subsonica di allora. «Ci siamo presi il lusso di guardarci da fuori con uno sguardo più attuale. Tutti loro hanno un linguaggio musicale molto forte e l’intreccio con noi ha portato una nuova versione di tutti i brani», mi raccontano. «La verità è che non siamo mai riusciti a bissare il successo di quel disco. Ora lo abbiamo rifatto», aggiunge ridendo Boosta.

Quando ad inizio anno Samuel, Max, Boosta, Ninja e Vicio sono entrati in studio per lavorare al reboot hanno dovuto allontanare tutti i timori («Un artista deve essere incosciente, deve liberarsi dal peso del timore reverenziale», dicono) e anche se non sanno ancora cosa accadrà all’uscita di Microchip temporale, sanno quello che stanno facendo. Forse perderanno il loro pubblico, forse ne conquisteranno un altro: «Ci sono persone che hanno rapporti difficili col proprio passato e che fanno un investimento affettivo sulle nostre canzoni». Certo, non è facile conciliare il passato con le urgenze del contemporaneo: «Siamo sempre stati attenti a ciò che ci circondava. All’epoca erano i suoni house e l’elettronica mentre oggi c’è la scena rap che ha preso il sopravvento; certe sonorità ci interessano, soprattutto quelle che riescono a scardinare le regole del suono italiano mainstream, come abbiamo fatto noi. Achille è un buon esempio, Willie Peyote e Sfera anche. Hanno fatto piazza pulita del mercato musicale italiano storico». Uno dei rischi maggiori del reincidere un album di vent’anni fa è sicuramente quello di sentirli invecchiati ma i Subsonica hanno sempre fatto attenzione all’essere slegati dal tempo: «L’unico pezzo che ci legava al passato era Sonde perché all’epoca usavamo delle immagini non delineate. Allora parlavamo dell’introduzione della tecnologia e del saccheggio dei personal data per questo abbiamo chiesto a Willie (Peyote ndr.) di fare un intervento sul tema».

Venticinque anni dalla fondazione della band, vent’anni da Microchip emozionale: siete diventati quello che sognavate di diventare?
Siamo diventati meglio di quello che sognavamo di diventare, quando sei giovane hai delle idee di futuro ma sei più attento alla tua contemporaneità. Difficilmente uno inizia a fare musica a vent’anni e si immagina a cinquanta su un palco; te la vivi molto di più per quello che è. Poi però ad un certo punto ti guardi alle spalle e ti accorgi che dopo tutti questi anni stai ancora facendo quello che ami e lo fai anche con una certa dignità artistica.

Quanto è stato importante rimanere fedeli a voi stessi?
Essere dignitosamente fedeli a sé stessi e basico, sta nel DNA di un codice di vita e di attitudine. Poi naturalmente una grossa parte di intelligenza la fa l’ammettere quando sbagli piuttosto che avere l’intelligenza di affidarsi agli altri quando serve. La storia ci dimostra che d’integralismo si muore.

Tornando a Microchip temporale, chi è stato il primo artista che avete chiamato?
Uno dei primi è stato Cosmo che tra l’altro è stato molto importante per l’intera realizzazione, se non avesse accettato ci sarebbero stati dubbi sull’intera rilettura dell’album. Probabilmente la coabitazione territoriale, le frequentazioni, ci hanno portato a fare delle sintesi musicali simili. In Disco labirinto ci ha messo molta energia e fino all’ultimo ci ha mandato versioni su versioni.

A chi vi accusa di aver fatto un’operazione di marketing con Microchip temporale cosa rispondete?
Rispondiamo con i numeri dei nostri concerti fatti in vent’anni e di quante persone hanno comprato i nostri dischi. Non abbiamo bisogno e non ci interessa una mossa promozionale; i numeri su Spotify sono chiari e tranquilli. Certo, non sono numeroni, ma sono esattamente quelli che devono essere.

C’è anche da dire che i fan vogliono sempre musica nuova ma poi criticano i dischi più recenti.
L’artista ha il dovere di fare quello che vuole. È vero che il rapporto tra fan e artista è biunivoco ma per un artista è importante essere onesto con sé stesso e se dopo vent’anni siamo ancora qui a fare quello che ci piace è perché la gente continua a condividere questo tipo di onestà. Comunque, alla fine, male che vada si possono ascoltare i dischi vecchi.