Ci sono poche certezze nella vita, una di queste è che quando Francesco Guccini in persona ti dà appuntamento a Milano, allora vuol dire che ha tra le mani qualcosa di veramente importante. Quel qualcosa di importante è un album che raccoglie le sue canzoni più belle, prodotte e arrangiate da Mauro Pagani e interpretate dalle grandi voci della musica italiana. Un progetto straordinario che – ci tiene a precisare – non vuole essere celebrativo, ma che guarda al futuro. Così Guccini ha chiamato a raccolta nelle Officine Meccaniche (lo storico studio milanese di Pagani) Manuel Agnelli, Malika Ayane, Samuele Bersani, Brunori SAS, Luca Carboni, Carmen Consoli, Elisa, Francesco Gabbani, Ligabue, Giuliano Sangiorgi, Margherita Vicario e Nina Zilli. Tanti artisti insieme significa coinvolgere molti avvocati, manager. Insomma, un’impresa colossale.
Guccini è un monumento vivente del cantautorato italiano. Una di quelle persone semplici, schiette ma con un bagaglio di ricordi da spendere e raccontare attraverso la sua inconfondibile pungente ironia: «I vecchi ora siamo noi, gli unici a parlare quel dialetto pavanese che uso nell’unica canzone inedita del disco. Era una poesia, una vecchia storia, già pubblicata in un libro di racconti ma mia moglie mi ha suggerito che poteva essere adatta per una canzone», racconta. Quindi, fatta una prima selezione all’interno dell’opera omnia di Guccini, Mauro Pagani ha fatto un’ulteriore scrematura: «Tutti volevano interpretare L’avvelenata, alla fine me la sono tenuta e l’ho condivisa con Agnelli. Sembra che abbia scritto solo tre canzoni nella mia vita: L’avvelenata, Dio è morto e La locomotiva, tutti si fissano su quelle. Una sera ero in un’osteria a Bologna, entra Vasco e mi fa i complimenti per L’avvelenata. Io gli rispondo: “Guarda che ne ho scritte anche altre”». Sulle interpretazioni Francesco non si sbilancia: «Mi incuriosisce sentire come cantano i miei pezzi perché quando canti dai una tua interpretazione personale», dice. «Poi ovviamente alcuni mi sono piaciuti di più ma non posso dire di chi parlo. L’altra sera mi è venuto a trovare Ligabue, la sua ad esempio è una bella interpretazione».
Grandi esclusi dal progetto i rapper, che però vorrebbe inserire nella seconda parte del progetto in uscita il prossimo anno, d’altronde – come lui stesso afferma – «sono loro i nuovi cantautori». «Una sera ho cantato L’avvelenata in versione rap, i miei musicisti erano sconvolti. Alla terza strofa ho mollato», racconta Guccini. «Stiamo cercando la formula giusta. Un rapper quando interpreta dice tanto, ha bisogno di molto spazio che di solito prende Francesco. L‘operazione è fattibile ma il pezzo lo deve riscrivere l’artista», gli fa eco Pagani. Nessuna voglia invece di riprendere in mano la sua carriera dal vivo, anche se non esclude ripensamenti futuri ma per il momento il no è categorico: «Ho ottant’anni e sono tanti, quindi ho deciso di smettere. Non sono più capace neanche di suonare la chitarra. Ogni tanto con qualche amico mi scappa una cantata, ma nulla di più. Non sono mica Charles Aznavour che a novant’anni saltellava sul palco».