Renato Zero ha scelto il giorno del suo compleanno per presentare Zero il folle, l’ultima fatica in studio che arriverà sul mercato il 4 ottobre. Una fatica nel vero senso della parola, perché alla vigilia dei settanta (che arriveranno il prossimo anno) non deve essere stato facile volare a Londra, incidere un disco con Trevor Horn – Paul McCartney, Rod Stewart e Robbie Williams – nel Sarm Music Village di Notting Hill e tornarare in Italia per una serie di venticinque concerti nei palasport, cinque dei quali al Palazzo dello Sport di Roma (sold out da mesi) che ad inizio novembre daranno il via alla tournée. Ma Renato Zero sembra non subire il pressing da promozione anzi, sembra quasi adorarlo. D’altronde, il titolo del nuovo lavoro non è stato scelto a caso; Renato non ha mai smesso di essere un folle e questo si proietta inevitabilmente anche su tutto ciò che crea.
Zero il folle non è solo un lavoro di totale onestà ma racchiude anche tutta la sua umiltà. Ed è proprio questo aspetto che ci tiene a spiegare in apertura: «Sento ancora il bisogno di inchinarmi di fronte alla bravura di mostri sacri come Trevor Horn, Alan Clark dei Dire Straits e Phil Palmer. Mi hanno riportato in una Londra che non ricordavo più», dice. «Perché in fondo sono qui anche grazie a Eric Clapton, ai Beatles, ai Four Seasons. Quella musica mi ha dato molto. Avevo un amico marinaio che girava il mondo e tutte le volte che tornava dagli Stati Uniti mi portava i vinili di Frankie Avalon, dischi che spesso venivano bloccati alla frontiera. Forse c’era un Salvini anche allora». Renato Zero è una sorta di divinità, di santone che ha sempre a portata di mano la parola giusta nel momento giusto: «Oggi c’è una propaganda all’esposizione e questa continua competizione insana di volere somigliare o superare Chiara Ferragni», dice parlando della tecnologia che lo circonda e che sembra volerci stare il più lontano possibile.
Zero il folle è un lavoro importante, profondo, provocatorio ma soprattutto attuale: in La vetrina si parla del continuo bisogno d’apparire quello che non si è (“È tutta una vetrina / Esposti come fossimo trofei / La vita vale poco / Esibirla in questo modo / È disumano”, canta e ancora: “Dentro questo vetrina / La fine si avvicina / Per i più deboli / Niente miracoli / Qualcuno ci liberi”) mentre La culla è vuota è una forte critica al calo demografico (“A lavoro madri che qui / La vedo magra / Pochi fiocchi rosa e blu / Molto viagra / La culla è vuota dategli giù / Signori”): «Non voglio la catena di montaggio perché è fortemente pregiudizievole, ritengo che l’amore debba ancora produrre in maniera cospicua quello che è il rapporto fra due esseri umani ma anche poi la proiezione di produrre figli».
«Il lavoro che hanno fatto le mie canzoni gli è stato attribuito da me. Ogni mia canzone è ispirata dal popolo e dal mio modo di vivere che non è mai sempre uniforme e comprensibile. Con questa mia pratica non ho cercato di dare risposte ma almeno di dare la possibilità agli altri di porsi delle domande. Perchè sai, il compito dell’artista è quello di scuotere le coscienze», dice Renato, oggi sessantanovenne e con cinquantadue anni di carriera sulle spalle, cercando di scendere a patti con il tempo. Sessantanove anni che però non sembrano avergli fatto perdere quella trasgressione ormai radicata nel suo DNA: «Stravaganti e desiderosi di espandere allegria ci si nasce. Penso a Lindsay Kemp, penso a Paolo Poli, penso a Gesù Cristo, Pier Paolo Pasolini, Van Gogh, Mozart, Beethoven, Lady Gaga; tutti personaggi che hanno unito il genio alla sregolatezza».
Zero spulcia di continuo i testi del nuovo album e ne racconta le genesi quasi come fosse per lui una necessità: «Ho stretto un accordo con la morte che mi ha permesso di soprassedere sul terrore e sulla suddistanza verso di lei. Ora racconto la morte altrui. Quattro passi nel blu (“Non perdiamoci mai / Non tradiamoli mai / Tutto quello che vuoi / Ma più uniti se puoi”, canta) ad esempio è dedicata a Lucio Dalla, Ivan Graziani, Mango e a tutti quegli artisti che mi sono stati amici e che ho perso ma che comunque rappresentano un mio vestito. Io li indosso costantemente, tutti i giorni della vita. Sono per me come la coperta di Linus. Per me sono stati tutti messaggeri di complicità e stimolazione».
Impossibile non toccare l’argomento Greta Thunberg: «Siamo stranamente frastornati e mi riferisco soprattutto agli adulti. Non trovo scandaloso che una bambina di sedicianni si permetta di alzare il dito e dire: “Non voglio morire intossicata ma voglio un mondo pulito dove crescere”. Non capisco perché se ne faccia un caso. Dovremmo finirla di stare in poltrona e giudicare tutto quello che accade intorno a noi». Insomma, this is Renato Zero.