Anima, il terzo album da solita di Thom Yorke sarà rilasciato domani in tutto il mondo e sin dai primi momenti, dalle prime campagne pubblicitarie, si è presentato come qualcosa di insolito. Innanzitutto, quasi tutti i pezzi sono stati già suonati live e sono nati da suoni che Nigel Godrich mandava a Yorke. Ancora, per le strade di Milano, sono apparsi cartelloni pubblicitari che presentavano la Camera dei sogni di Anima Technologies, un posto dove recuperare i sogni che dimentichiamo una volta svegli, con tanto di numero verde da chiamare e una segreteria che faceva ascoltare agli interlocutori Not The News, una delle canzoni del disco. È stato chiaro da subito, quindi, che Yorke e il suo produttore storico Nigel Godrich avevano intenzione di proporre al pubblico un prodotto particolare: hanno creato aspettative alte e lasciato intendere che il mood dell’album sarebbe stato inquietante e distopico, diretto ad una critica sociale.
Anima è composto da nove tracce nelle quali Yorke prende la sua ossessione per i sogni e per l’analisi della società moderna, le mescola e le trasforma in un caos di suoni e testi ermetici di difficile interpretazione. Lo si capisce fin dal primo pezzo, Traffic, in cui l’ascoltatore viene investito da questo “rumore” che caratterizza tutto l’album e che Yorke ha definito l’anti-musica, ed è probabilmente il termine perfetto per descriverlo: le canzoni sono destrutturate, inquietanti, piene di distorsioni e di suoni inaspettati, che lasciano l’ascoltatore confuso e inquietato. Twist è invece una denuncia della cultura dell’odio, Yorke canta, su una base di suoni digitali, “Just enough love to go around”, racchiudendo in un verso la tristezza di una società che ha scordato come amare.
Dawn Chorus è l’unico pezzo in cui la voce di Yorke viene lasciata spoglia di effetti e distorsioni: lo si sente forte e chiaro in questa canzone introspettiva, estremamente triste, accompagnato da un tripudio di synth malinconici. In I Am A Very Rude Person è invece il riassunto dell’intero album (“I have to destroy to create”, canta): distrugge il concetto solito proponendone uno nuovo, privo di regole. Poi arriva Not The News, uno dei pezzi più complicati da ascoltare: non è quello che gli americani definiscono easy on the ear, anzi, la voce di Yorke si perde in un marasma di suoni digitali sparatissimi, assurdi, difficili da comprendere. La track sette (The Axe) dipinge già dal primo verso il mood dell’intero lavoro; si apre con un lungo lamento dal beat ossessivo, con la voce di Yorke che chiede “Goddamn machinery, why won’t it speak to me?”, una chiarissima denuncia del rapporto ossessivo che abbiamo con la tecnologia oggigiorno.
La chiusura è affidata a Runawayaway, l’unica canzone in cui sentiamo delle chitarre che non siano sommerse dai suoni digitali. È la degna – e disperata – conclusione di questo incubo e anche se non c’è il sollievo del risveglio, Yorke ci lascia con la sua voce pesantemente distorta che canta “That’s when you know who your real friends are”. Quasi a voler dire che quando tutto è finito e ti sei consumato in una realtà irreale, vieni lasciato solo a raccogliere i pezzi. Insomma, Anima è un album difficile da ascoltare e da capire, Yorke si è messo d’impegno per mettere sul mercato un lavoro complesso, difficile da apprezzare e da spiegare: si è preso tutte le libertà che voleva e ha creato un incubo sonoro. A tutti gli effetti, ascoltare Anima, è come guardare un episodio particolarmente straniante di Black Mirror.
Il miracolo che compie il leader dei Radiohead in questo album, è trasmettere chiaramente il messaggio di instabilità, solitudine, paura e incapacità di socializzare che è diventato un po’ il mood generale di chi vive l’epoca contemporanea. Non è un album da mettere in macchina o da cantare sotto la doccia, sono canzoni stonate di una bellezza che è difficile da individuare. Nonostante questo, Anima è un lavoro incredibile di produzione e disfacimento della concezione classica della musica ed è bello che qualcuno, oggigiorno, abbia il coraggio di proporre un lavoro discografico del genere affrontando i temi che affronta e facendolo nell’unico modo che Yorke riteneva possibile: creando caos.