Si chiama The River. Ed infatti il pezzo è un fiume, in piena aggiungerei. Più simile agli Oasis di inizio anni duemila che a quelli della coppia di album dei sogni di metà anni novanta, ma pur sempre Oasis. Liam Gallagher sembra essersi riappropriato definitivamente di quell’aura di sovrano illuminato del rock & roll che, come uno strano superpotere, sembrava esser scomparsa dopo la separazione più triste del secolo, e poi riacquisita con As You Were. L’impressione è che ci sia tanto più che del buon brit pop in questa formula magica; dai videoclip al marketing, passando (ovviamente) per delle scelte di sound e melodia azzeccate e coerenti. C’è una dichiarazione di Steve Jobs divenuta un aforisma di culto nel settore che dice più o meno così: «Non puoi semplicemente chiedere alle persone cosa vogliono e poi provare a darglielo. Nel tempo in cui riesci a costruirlo, loro già vorranno qualcosa di nuovo». Guardando i progetti dei fratelli più stronzi di Manchester e analizzando il come queste rispettive carriere si sono evolute dopo lo scioglimento degli Oasis, la considerazione lecita che si può fare è che alla fine dare alla gente quel che vuole (quantomeno nel breve periodo) non sia sempre una strategia poi tanto malvagia. E dunque se da una parte il pop cosmico di Noel sembra più un vezzo, un fantasia, un virtuosismo vuoto e altamente fine a se stesso, dall’altra il malandrino Liam continua a sbatterci in faccia il rock che tutti gli chiedono. E lo fa da Dio. Come un fiume (in piena).
Simone Mancini
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Nato lo stesso giorno dei suoi idoli Steve Jobs e Steve McCurry, Simone non ha nulla a che spartire con loro. Cerca di auto convincersi che la colpa sia dei genitori che non lo hanno chiamato Steve. Laureato in una cosa che gli permette di vivere senza lavorare davvero, sogna uno scudetto della Lazio e la pace nel mondo.