Si chiama Start, partenza, e di fatto, almeno concettualmente, siamo di fronte ad un nuovo percorso per Luciano Ligabue. Dico concettualmente perché se le premesse c’erano tutte – più avanti cercheremo di elencarle ed analizzarle – la sensazione è che la nuova partenza di Ligabue sia una falsa partenza. Ma facciamo ordine e proviamo a raccontare il percorso. L’avanguardia del sound in Italia ha un nome e cognome: Federico Nardelli. Fatto.
Il nuovo anno ha portato alla luce un bisogno irresistibile di rock & roll, di chitarre e di accenni all’ambient che dà sempre la sensazione di avere un concerto nelle orecchie. Insomma: non c’è più spazio per la finzione, la saturazione del sound dei trapper suona meno figo di qualche tempo fa e la nuova rotta sembra arrembare agli imperativi di suonare, sudare, dire. E anche tutti questi ingredienti sono ben presenti nel piatto preparato da Ligabue.
Ci sono anche i testi, perché comunque Luciano sa scrivere (e a differenza dei più, sa parlare). Fin qui tutto bene, c’è poi il momento per le under venti (Certe donne brillano), il pezzo struggente (Io in questo mondo), il pezzo per i nostalgici del Ligabue di Buon Compleanno Elvis (La cattiva compagnia), il pezzo U2 (Ancora noi) e il singolo che funziona (Le luci d’America). All’appello non manca nulla. Forse allora c’è solo troppa presenza, troppi cliché, troppo Ligabue e poco Luciano.
L’impressione è che ci sia una doppia anima dentro il cantautore Emiliano, un diavoletto sulla spalla sinistra che si sente ancora rockstar e un angelo con l’aureola sulla destra che preferisce Guccini a Mick Jagger. E probabilmente questo vale per tutti i grandi della musica (quando si ha un repertorio ampio, c’è il rischio di essere tante copie diverse di se stessi). Basti pensare a Vasco Rossi, una rockstar, un cantautore e nel contempo una macchina da hit radiofoniche. Sarà un segno di longevità, sarà un sintomo di grande eclettismo, ma la sensazione è che Start, la nuova partenza di Ligabue, sia più un giro d’onore lungo la pista d’atletica.