Quando, nel 1992, il cantante e chitarrista Rivers Cuomo si riunì con il batterista Patrick Wilson, il bassista Matt Sharp e il chitarrista Jason Cropper per formare quella che sarebbe stata la primissima versione dei Weezer, la proposta rock/emo alternativo che il gruppo offriva alla scena musicale era più che azzeccata come alternativa spensierata al momento che il macro-genere del rock stava attraversando, caratterizzato da quel velo di aggressività e malinconia stile Nirvana e Aerosmith. Il primo lavoro del gruppo, Weezer: Blue Album resta ancora oggi una pietra militare nella storia dell’alternative rock/emo e non solo, e la caratteristica voce di Cuomo rimane indubbiamente una delle più riconoscibili di quel periodo.
Presentarsi al mercato discografico con tale stessa proposta oggi, però, senza aver cambiato nulla a livello contenutistico e sonoro se non il colore dell’album, non più blue ma black, dopo che, negli anni, ci sono stati anche Weezer: Green Album (2000), Weezer: Red Album (2008), e per ultimo Weezer: White Album (2015), dà l’idea di un gruppo timoroso di osare, sperimentare, non desideroso di trasferire la propria oggettiva maturità umana nella propria musica.
Weezer: Black Album non è scritto o costruito male. Le melodie, create al pianoforte ma eseguite perlopiù da chitarre elettriche, sono estremamente orecchiabili e persino gradevoli se prese individualmente, ma la ripetitività del mood gioviale che traspare da più o meno tutte le tracce tende a stancare in fretta. La voce di Cuomo rimane una certezza, potente e sempre riconoscibile, a tratti spettacolare; ma sentire tale voce cantare su melodie tutte simili e già sentite di tematiche tutte appartenenti alla stessa immotivata e ingiustificata giovialità risulta pesante poco dopo l’inizio del disco. In più, continui riferimenti a tutto ciò che è popolare al giorno d’oggi, Netflix, internet, i social (Living in LA), la droga (I’m High as a Kite), più gli attacchi gratuiti e immotivati a personaggi come Neil Young (Byzantine) danno l’impressione che il gruppo non abbia interesse a produrre musica nuova, ma il terrore di venire dimenticato dal pubblico.
La qualità del tutto è sempre alta, e non mancano i momenti memorabili come il tributo a Prince in The Prince Who Wanted Eveything, e l’atmosfera leggermente più sperimentale di California Snow, traccia di chiusura del disco, ma ci si poteva aspettare assolutamente di più, anche considerando che Weezer: Black Album veniva presentato come un cambiamento nella direzione opposta della giovialità e spensieratezza di Weezer: White Album.