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The Struts: «Rock & roll significa cattiva organizzazione»

Età media: trent’anni. Segni particolari: dieci anni di carriera alle spalle. Insieme. Appuntamento per questa sera ai Magazzini Generali di Milano per il primo concerto italiano degli Struts. O meglio, il primo nel nostro Paese in cui la band capitanata da Luke Spiller salirà sul palco come headliner. «Siamo molto eccitati per stasera. Tra l’altro, il tempo è meraviglioso e per noi inglesi questo è importante».Dieci anni di carriera iniziati in un garage e proseguiti sui palchi di tutto il mondo. «La line up è la stessa ormai da quasi sette anni. Insomma, parecchio tempo», continua Spiller. «Abbiamo fatto tantissimi concerti in Francia, ma poi nel resto del mondo e ora eccoci qui. Se c’è qualcosa che mi manca degli inizi? Forse gli interminabili viaggi sul furgone per raggiungere i locali dove suonare».

D’altra parte, in una contemporaneità in cui sono in molti a sostenere che il rock sia morto, gli Struts – con i loro giubbotti di pelle e una musica tutta chitarra, basso e batteria – sembrano proprio la risposta (incazzata) ai sostenitori di questa teoria. «Tutte le band devono iniziare in un garage e fare i tour nei furgoni: serve moltissimo a legare. Penso che rock & roll sia un’altra parola per dire cattiva organizzazione: prendere il meglio dalle situazioni peggiori».

E rock & roll è stato senz’altro il tour che gli Struts hanno affrontato insieme ai Foo Fighters. «È stato fantastico. Tutte le sere guardavo ipnotizzato la batteria di Taylor Hawkins: era stupenda da vedere. Poi abbiamo cantato insieme anche una versione di Under Pressure dei Queen: io facevo la parte di Freddie Mercury e Taylor quella di David Bowie. Non lo dimenticherò mai. I Foo Fighters sono quel genere di band che danno ogni sera il centodieci percento. Abbiamo imparato tantissimo da loro e abbiamo anche stretto un bellissimo rapporto».

Live, live e ancora live al centro della vita (professionale) degli Struts. Che però è un’altra cosa rispetto a quella reale: «In Who Am I cantiamo “I can be your Harley Quinn/Or your Doctor Strange”. Se potessimo decidere quale personaggio diventare, sceglieremmo Minnie o Gigi Buffon. A parte gli scherzi, quando saliamo sul palco ci trasformiamo. Il live è come una fuga: indossare i vestiti di scena, diventare qualcun altro e fare delle cose che probabilmente non faremmo mai nella nostra quotidianità. È una maniera fantastica per esternare le proprie emozioni, le proprie ansie: buttare fuori tutto e trasmetterlo al pubblico».