Rock in Roma ha annunciato i primi artisti della line up 2019 che si esibiranno all’Ippodromo delle Capannelle: Calcutta (sul palco il 27 giugno), Salmo (12 luglio) e Carl Brave (13 luglio). Tre nomi che si aggiungono agli show già annunciati (e che andranno in scena tra la Cavea dell’Auditorium Parco della Musica e il Teatro Antico di Ostia) dei Thirty Seconds To Mars, Skunk Anansie e Kraftwerk 3D.
Insomma, nulla di strano se non fosse che ormai da diversi anni il festival romano è bersaglio di forti critiche riguardanti la line up da parte dei rocker italiani. Lo scorso anno fu contestata la presenza sul palco di gran parte della scena trap italiana e, visto che quest’anno si delinea una situazione simile, il pubblico di Rock in Roma ha anticipato le polemiche a dicembre. Siamo di fronte alle stesse identiche critiche: “Chiamatelo Rap in Roma e noi tutti ce ne faremo una ragione“, scrive Luigi sotto l’immagine che annuncia il concerto del rapper di 90MIN e come lui almeno un altro centinaio di persone.
La realtà è che Rock In Roma non è mai stato (né oggi né in passato) sinonimo di rock. Non si è mai proposto come il Rock am Ring o l’Hellefestm italiano e quelle poche volte che ci ha provato il riscontro di pubblico si è rivelato spesso sotto le aspettative. E mica per colpa loro ma per colpa di voi amanti del rock/metal. Ricordo un Myles Kennedy salvato in extremis grazie allo spostamento del live dall’Ippodromo delle Capannelle all’Orion Club, un locale da mille posti alle porte di Roma. Ma ancora più clamorosa è stata la cancellazione lo scorso giugno della data dei Parkway Drive “a causa di circostanze impreviste” (o scarsa prevendita?).
Ma d’altronde i dati parlano chiaro: il pubblico di Rock in Roma preferisce Coez a Roger Waters. È infatti del rapper romano il record assoluto di spettatori dell’ultima edizione del festival (in generale è l’artista italiano che ha radunato più persone in un singolo evento nel secondo semestre dell’anno): i 32.851 paganti del suo concerto all’Ippodromo delle Capannelle superano i 32.490 paganti richiamati nello stesso mese al Circo Massimo dall’ex Pink Floyd. Da preciare che mentre quello di Waters si trattava di uno show speciale messo in scena nel 2018 solamente a Londra, Lucca e Roma, quella di Coez era una delle dodici date estive in giro per l’Italia, nulla di particolarmente esclusivo quindi.
Insomma, sembra che in Italia una parte del pubblico faccia fatica ad accettare il successo della nuova ondata di artisti pop/indie/rap, gli unici oggi insieme a qualche big capaci di riempire per una, due, tre sere consecutive il Mediolanum Forum o il Palalottomatica. Chi invece l’ha accettato sono i festival, che ormai preferiscono un Carl Brave ad un artista internazionale il cui ingaggio non scende sotto i cinque zeri e che spesso si rivela un fallimento. Di fatto i festival sono un’impresa, un’azienda e come tale devono fare utile e assecondare il volere del pubblico che in questo momento (che ci piaccia o no) è tutt’altro che rock. Oggi Rock in Roma è la fotocopia della realtà musicale attuale italiana, niente di più niente di meno, fatevene una ragione.