È la voce di Charlie Chaplin ne Il grande dittatore e non quella del frontman Bono ad aprire il terzo concerto milanese degli U2, lo spettro delle città d’Europa ridotte in macerie all’indomani del secondo conflitto mondiale torna attuale, come un monito inquietante: l’Europa e la democrazia sono in pericolo, saranno questi temi il leitmotiv della serata («Questa idea di Europa merita che si scrivano canzoni e si sventolino bandiere blu per lei. Per superare le difficoltà attuali, l’Europa deve passare dall’essere un’idea all’essere un sentimento», aveva dichiarato Bono alla vigilia dell’inizio del tour europeo).
Poi ci pensano i quattro di Dublino a scacciare il nefasto monito e a far partire la festa. L’album Achtung Baby domina la scena nella prima parte dello show, la stupenda Who’s Gonna Ride Your Wild Horses (ci sarà un motivo se è la canzone preferita dalla dea Charlize Theron?) strappa gli applausi più convinti del Mediolanum Forum. Il cuore della serata vede la massiccia presenza degli ultimi due album della band, Songs of Experience e Songs of Innocence e gli intramontabili New Years Day, Elevation, Vertigo e Pride. Chiude il secondo atto una stupenda esecuzione di City of Blinding Lights: sugli schermi le immagini delle capitali europee si trasformano in stelle e vanno ad occupare il loro posto al centro del vessillo azzurro, simbolo dell’europa unita.
Prima della terza ed ultima parte c’è però tempo per vedere bono trasformarsi in Mefistofele, grazie ad uno specchio deformante, e sciorinare uno dopo l’altro, tra i fischi del pubblico, i nomi di quei politici europei Le Pen, Orban & co. che in questi ultimi anni stanno attentando all’idea stessa di unione e fratellanza europea. Poi un accordo di The Edge e il Mediolanum Forum ammutolisce: in un silenzio quasi liturgico è il momento di One.
Il finale è da brividi, non è un crescendo wagneriano, ma sono le dolcissime note di Love Is Bigger Than Anything In Its Way e There Is A Light, ad accompagnare la dimessa uscita di scena di Bono e soci. Tasto dolente della serata l’imperdonabile assenza dell’intramontabile With Or Without You e di un classico come Where The Streets Have No Name.
La band irlandese sa perfettamente come far emozionare i suoi fan ed ha ancora molta voglia (forse troppa) di dichiarar battaglia ai potenti. Oggi niente fuochi d’artificio dunque, sostituiti da un’atmosfera seria e matura, più intima che in passato. Stadi o palazzetti, rockstar o poeta, cambiano gli addendi ma il risultato non cambia: gli U2 non sbagliano un colpo, neanche a Milano, per loro stessa ammissione una «seconda casa».