Il nuovo lavoro in studio dei Thegiornalisti è un album eterogeneo, che raccoglie sonorità pescate da generi apparentemente discordanti. Un mix di alchimie sonore che tuttavia lavorano bene tra loro. Le pulsazioni dell’ultimo lavoro in studio di Paradiso e soci si abbassano e si alzano vertiginosamente fino a raggiungere gli antipodi, il triangolo delle Bermuda e l’Everest. Tutto incastrato in una struttura estremamente pop. In Love vengono raccontati tutti i desideri più semplici «le voglie più comuni, una casa al mare, abbracciare il cane, le cene; che sono le cose che mi fanno stare meglio», confessa Paradiso alla vigilia dell’uscita.
L’intro si intitola Overture ed è una jam di archi, fiati e timpani che alza fin da subito le aspettative. Il linguaggio e la veste musicale infatti sono alti a tal punto che la percezione – in seguito confermata – è certamente che non troveremo mai più alcuna traccia di underground nei pezzi dei Thegiornalisti. Ma dopo l’apertura è arrivato il momento di rincontrare il timbro di Tommaso che dal silenzio entra nell’album con la frase: “Quanto è bello tornare dal mare”. Un brano nostalgico (“Invece la casa è un casino/Il cane è da solo/Pulire il giardino/Domani c’è un treno/Zero stare sereno”, recita il ritornello) che non riesce a superare La fine dell’estate malgrado il riff pre-chorus che è un tributo ad Albachiara di Vasco Rossi.
Tornati dalle vacanze dunque, sull’auto a farsi del male coi propri ricordi ed ecco che la mente torna a New York. Questo brano è la prima perla di Love, l’ultimo singolo pubblicato. Una ballad che parla di America ma ricorda nel sound la Gran Bretagna dei Beatles. L’intro del piano sembra quello di Hey Jude a cui (ovviamente) noi siamo particolarmente legati. Si torna su Una casa al mare, ritornello alla Coldplay & Chainsmokers poi ancora Vasco con il “taba daba da” di Controllo (“Vorrei mettere su un fisico bestiale/Ma mi alleno solo per rimediare/Mettimi ancora il vino”, canta Tommaso nella seconda strofa), un pezzo di ottima fattura con inserti sonori addirittura trap, come ad esempio gli hi hat.
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Arriva la title track, il brano più forte (penso mentre lo ascolto). Love è un otto in pagella, con l’arpeggio pulito che ricorda Gli angeli, e non è che vogliamo scovare a tutti i costi le orme di Vasco Rossi in questo album, perché questa citazione è stata per certi versi confermata anche dallo stesso frontman romano. Arriva l’adrenalinica Milano Roma. Brano non del tutto riuscito e sconnesso al resto. BPM veramente troppo alti e una cassa dritta difficile da mandare giù.
L’ultimo giorno della terra è un brano molto interessante: sembra uscito da Completamente Sold Out, con quel sapore anni ‘80 e lo stiloso Polysix che da solo raccoglie l’intera eredità di un decennio. Questa nostra stupida canzone d’amore già la conosciamo: brano eterno, profondo, riflessivo, generazionale. Nel videoclip c’è quel Borghi che, come i Thegiornalisti d’altronde, riesce a raccontare la sua realtà come pochi nelle sue interpretazioni. Felicità puttana – decima traccia di Love – è una hit ultrapop con il titolo indie. Nelle radio da settimane, ha conquistato il cuore di molti, tanto da giocare il ruolo di vice-Riccione. Personalmente non un brano indimenticabile.
Brano indimenticabile è invece l’ultima, stupenda, perla di questo album: si scrive Dr. House, si legge oh my God. Il testo più condivisibile di Love e forse dell’intera discografia della band. Perché l’amore è sì universale, ma l’amore per “Fantozzi, Bud Spencer, Terence Hill, Verdone, De Sica, Leone, Morricone, Tarantino, Totò, Peppino, l’orsa maggiore e le sette stelle di Hokuto” di più. Il Dr. House personaggio, che prescinde da Hugg Laurie, è il padre che Tommaso stava cercando (come dice nel pezzo) e che ha trovato, come ha trovato – insieme ai suoi compagni di viaggio Marco Rissa e Marco Primavera – un album che eclissa buona parte della discografia pop italiana degli ultimi anni.