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“America”, l’involuzione dei Thirty Seconds to Mars

Mentre Elon Musk conquista l’universo e promette di spedire parte della nostra popolazione su Marte, c’è una band che da qualche anno si trova a soli trenta secondi dall’atterraggio. Atterraggio che però non arriva (ed è un peccato) neanche questa volta.

Perché Jared Leto è uno tosto, chi lo nega? È uno di quelli che ancora non si riesce a capire se sia una star del cinema o della musica. Questo non perché non gli riesca nessuna delle due cose ma al contrario perché qualunque sfida accolga (dal trasformismo nel cinema d’autore all’umorismo, dal punk alla trap, dalla cresta fluorescente alla viking beard) piace. Però manca sempre un pizzico per azzittire completamente gli haters del mainstream patinato, fatto di smoking di Gucci, Carrera avveniristici e six pack ben in vista.
Personalmente ritengo che America sia l’album che a primo ascolto mi abbia entusiasmato meno di tutti gli altri della band statunitense. Chiare comunque le intenzioni: sound trap, campionamenti vocali utilizzati come lead synth, collaborazioni di spicco (A$AP Rocky su tutti) e i cori che tanto stereotipano il nuovo pop americano, anche e soprattutto per l’influenza che essi hanno avuto nel repertorio musicale dei Thirty Seconds to Mars stessi. È anche vero che America è un prodotto stiloso e contemporaneo, anzi d’avanguardia, che potrebbe essere assimilato meglio nel corso del tempo. Perché ricade sì nei canoni dell’universo hip hip alla Drake e Lamar, ma ha certamente delle sfumature soul che sono insite nel timbro di mr. Leto dalle quali, anche volesse, non riuscirebbe a prendere le distanze.

Un plauso dunque all’intento, ma This is War, King and Queens e Closer to the Edge sono un’altra cosa. Beh, credo che in fondo i fan di vecchia data si siano abituati (p quasi) all’evoluzionismo musicale dei tre ragazzi di Marte. Il punk di 30 Seconds to Mars, il rock di A Beautiful Lie, il mood da soundtrack di This is War, il pop psichedelico di Love, Lust, Faith and Dreams e questa roba che non abbiamo capito fino in fondo che si chiama America. Anche stavolta colpa di Trump?